Elisa Montessori e Giovanna De Sanctis Ricciardone
Chiara Castiello e Cristina Caporaso
Domanda:
Abbiamo trovato interessante il ruolo che lei dà alla cancellazione e al vuoto, segno che non rimane niente se non nella nostra mente. In questa generazione attuale che è satura e basata molto sul visibile, creare il vuoto in un’opera d’arte, secondo lei può portare un cambiamento nel pensiero collettivo e far apprezzare il valore del ricordo?
Foto dell’incontro:
ELISA MONTESSORI
“Ho sempre amato la segretezza delle cose che scompaiono:
i libri che si chiudono, i rotoli che si arrotolano, le carte piegate, le tele
non fissate, tutto ciò che si svela e si nasconde.
La pittura è totale.
La pittura è segreta.
La pittura non morirà mai.
Ho novantadue anni ora, ma ieri erano quarantamila anni fa nelle caverne
preistoriche.
Una bella età.
Sono un piccolo anello di una lunga catena, catena di informazioni,
connessioni, ricerca.
Il prodotto è importante ma la ricerca lo è di più.“
Elisa Montessori, 2 Settembre 2023
La Montessori nasce a Genova nel 1931, compie studi classici e si
laurea in lettere, nella sua vita movimentata si sposta da Genova a Milano, e
da Milano a Roma. Ha tre figlie nate da due matrimoni, il primo con uno
scienziato cinese, il secondo con un importante architetto, due valenze, due
aspetti che ritroviamo nel suo lavoro. Da giovane viene a Roma e nell’ambiente
artistico frequenta Afro, Cagli e Mirko. In quel periodo di conflitto tra
astrattisti e figurativi vive una situazione di marginalità, non facendo parte
la sua espressione di nessuna delle due correnti.
Elisa racconta che da sempre, fin da bambina, disegna molto e da
questo modo di esprimersi nasce la sua attività di artista. È il segno che
rimane nel tempo l’elemento essenziale del suo fare. L’altro elemento
protagonista nella composizione è il rapporto con lo spazio del foglio o della
tela, che è sempre bidimensionale. Tutto avviene sulla superficie della tela,
non c’è profondità, non c’è idea di spazio prospettico.
I segni sembrano emergere frammentari come da un ricordo, sono tratti
insistiti che si rincorrono addensandosi e diradandosi. Tutti insieme formano
un disegno unitario, spesso un paesaggio, sono immagini molto mentali come una
visione ricordata stando ad occhi chiusi.
Per tanto tempo il colore rimane un aspetto secondario, si affaccia a
volte con leggerezza, creando sorpresa in un campo grafico, dove spesso il
fondo non è dipinto: il segno deciso si presenta sulla tela nuda. La pittura
matura molto più tardi e dilaga negli anni Ottanta, il colore è un fatto
passionale, legato a un maggiore abbandono.
L’osservazione della forma e della struttura di elementi naturali,
quale una foglia o una roccia, può essere l’elemento dominante di un suo
quadro, e come nello sguardo dei pittori orientali, il gesto nasce dalla
concentrazione che precede il segno, deriva dalla consapevolezza della forma
osservata e assimilata in precedenza.
Della cultura visiva orientale l’artista conosce molto bene il valore
del vuoto, che in quanto pausa, scansione, è importante quanto il pieno. Dalla
sua dichiarazione “lavorare per me è il desiderio di eliminare”, la Montessori
ha, nel corso dell’intera vita, continuato a produrre opere basate sul concetto
di accumulazione e sottrazione. La cancellazione è proprio il segno che non
rimane niente se non che nella nostra mente. Afferma proprio come a volte il
silenzio è più significativo della parola. Il vuoto è una componente necessaria
del pieno. Dall’equilibrio di questi due elementi nasce l’armonia della
composizione quale quella nella musica o nella poesia.
Artista dalle molteplici visioni,
nelle sue opere si percepisce in particolare la ricerca di un rapporto
profondo tra donna e natura, inteso come momento di trasformazione e di metamorfosi.
Racconti mitologici e corrispondenze con testi letterari, derivanti da un
rapporto privilegiato che l’artista ha
con la letteratura e la poesia, fanno si che le opere di Elisa Montessori ci
accompagnino in un armonico viaggio nella mente, un camminamento mai finito nel paesaggio,
un attraversamento nella memoria del
mondo e nelle emozioni. Infatti il suo segno deriva dalla natura, intesa nel
suo incessante divenire, nella sua costanza germinazione e tradotta in gesto
automatico così come accade nell’arte orientale. Il paesaggio si trasfigura in
linee dalle variazioni spontanee ed impercettibili.
E’ una pittrice dell’ombra, perchè l’ombra ha una sua forza, che
diventa più importante del soggetto disegnato. La luce crea e distrugge nello
stesso tempo, perché distrugge la forma. L’ombra ti dà la possibilità di una
forma altra che diventa più essenziale della forma stessa. Anche qui c’è
dinamismo.
Inoltre la pittrice non si definisce una persona che crea partendo da un punto, ma ne traccia sempre due, “connette” una cosa con l’altra, dando origine a una catena di immagini. Un quadro non è mai un singolo fotogramma, bensì una sequenza. Per lei molto importante è il tempo: “Il libro per me è uno spazio fortemente dinamico, perché voltando le pagine, guardando una cosa a destra e l’altra a sinistra, impieghi il tuo tempo. Perciò catturo, “rubo” il tuo tempo. Il mio è un vero e proprio furto, in senso positivo ovviamente. Ti rubo l’attenzione, perché senza di essa non c’è scambio. E non si tratta di uno scambio di bellezza e meraviglia, ma dello scambio in cui tu spettatore metti in gioco te stesso.”
GIOVANNA DE SANCTIS RICCIARDONE
Giovanna De Sanctis Ricciardone si è laureata negli anni ‘60 a Roma, presso la facoltà di Architettura Valle Giulia. Tuttavia, nel 1974, ha cambiato direzione, entrando a far parte dell’Associazione Culturale “Il Politecnico”. Dopo aver lavorato per venti anni là come artista e responsabile della sezione Arti Visive, si è recata verso un piccolo paese della bassa Umbria per fondare il suo studio. Così, nel 1992, in un capannone nella zona industriale, nasce Progetto-Arte, un luogo più adatto alla scultura progettuale.
Nella sua vita e nel suo lavoro è sempre sempre stato radicato il tema
della passione. La parola passione viene da passio, sofferenza. Non è solo
amorosa, è un sentimento prepotente, proveniente dal nostro “spirito del
profondo” (Jung), un legame forte, che può durare tutta la vita con qualcosa o
qualcuno ed essere anche fonte di profonda sofferenza. Eppure, è la spinta
della passione che può generare una immaginazione visionaria attiva e creativa,
da cui può nascere un progetto (ciò che si getta in avanti verso il futuro) non
solo in senso architettonico, ma in tutti i sensi del vivere umano.
C’è una continua seduzione a volgere lo sguardo all’esterno di noi
invece che all’interno, ma l’immaginazione creativa deve venire da uno sguardo
rivolto verso la nostra anima, verso le passioni che si nascondono dentro di
noi. Non bisogna essere confusi dalle immagini del mondo esterno.
Ognuno di noi è portatore di archetipi, che prima o poi si manifestano dal lago profondo e oscuro del nostro spirito e della nostra psiche. Nonostante sia un momento angoscioso, bisogna affidarci al silenzio per permettere di farli salire, perché i grandi archetipi persistono di tutte le nostre razionali letture del mondo. Se non si trova il tempo di dedicarsi a questa riflessione, si va sicuramente incontro ad una mancanza di identità, cui l’unica soluzione è quella di rendersi identici a ciò che c’è fuori, ovvero quello che lei definisce “Disidentità Identica”.
Esiste un archetipo che per Giovanna De Sanctis Ricciardone è fondante,
il Kosmos, ovvero il senso primigenio
che l’essere umano ha di essere schiacciato da forze cosmiche, ma anche della
necessità di comunicare con esse. Fin dal principio, da quando l’uomo è uscito
dalla grotta, egli capisce che la prima forza cosmica è quella che lo schiaccia
a terra, la gravità. L’altra, invece, è una misteriosa forza propulsiva che consente
di volare in alto, di muoversi verso il cielo.
Ha sempre pensato che da questa primigenia pulsione-passione-immaginazione
archetipica nasca la scultura e l’architettura. Prendendo un grave schiacciato
a terra e traendolo verso l’alto in posizione verticale mediante l’esercizio
della propria forza, si realizza il primo atto di potenza umana, frutto di un
progetto, nato da una immaginazione creativa in comunicazione con le forze
cosmiche . Infatti la lotta alla gravità attraverso un monolite (menhir) è il
primo atto della scultura; attraverso un trilite (dolmen) è il primo atto
dell’architettura.
Nei disegni fatti tantissimi anni fa simbolizza la forza che va verso
il cielo e la forza che spinge verso la terra. Afferma che ognuno di noi e ogni
nostro manufatto è sottoposto a questa contraddizione.
Alla fine degli anni ’70, comincia prepotentemente ad emergere la sua passione per il Barocco, soprattutto a Bernini, che è stato per lei un grande riferimento. Infatti dalle pieghe dello sconvolgente panneggio berniniano estrae i misteri delle sue tante simbologie: il fantasma del femminile, l’immagine del caos cosmico, l’intuizione di uno spazio curvo, le forme danzanti. Proprio sul tema del barocco fa un’importante mostra a Terni nel 2007, che chiamò proprio: Barock. Un’ eredità del barocco è la torsione e la geometria delle rigate, strumento di tortura del piano, componendo una sorta di ibrido tra barocco e futurismo.
Nel 1992 fonda il suo studio in un piccolo paesino in Umbra, dove
approfondisce il tema Arte E Città e ribadisce una problematica che era allora
molto sentita: l’auspicata presenza dell’arte negli spazi urbani. Questo
presupponeva un rapporto anche di collaborazione progettuale tra artisti ed
architetti. Questa strada che è sempre stata la sua passione, è stata, però, abbastanza
tormentata, nonostante riuscì in molte collaborazioni. Lei si definisce
ARCH-ARTISTA.
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